Cervinara-Gli amici della montagna Partenio

Memorie di Angelo Renna e il Partenio

ANGELO RENNA
UNO SPIRITO LIBERO
TRA POESIA, PROSA E ARTI FIGURATIVE, L’EREDITA’ DI UN INTELLETTUALE CAUDINO CHE HA LASCIATO IL SEGNO
Angelo Renna onora Cervinara come uomo, scrittore, poeta e politico. Un uomo inflessibile sui principi ed estremamente mite nei rapporti umani. Inflessibile contro gli ipocriti. Soprattutto contro i voltagabbana o “girella” come Egli, profondo studioso del Giusti, chiamava chi passava da un partito all’altro per una manciata di lupini. Un maestro che ha dedicato tutto se stesso alla scuola con abnegazione, intelligenza e cuore. Esigente e nel cotempo comprensivo. Pretendeva il massimo impegno da tutti i suoi alunni e con l’alunno pigro ricorreva alla cura ad personam. Tutti i suoi tantissimi alunni ne parlano con amore e riverenza. La sua didattica era improntata ad un’etica profondamente laica.
Uno scrittore poliedrico. Un romanzo storico, Terre di Briganti, che molti hanno letto e apprezzato. In esso, al racconto di fatti storici aggiunge, per abbellirlo, fatti ed eventi immaginari, nonché vagheggiamenti di temi cari e proibiti come l’amore. Chi non ricorda il bacio che il biondo sergente piemontese diede alla bellissima Diamante Taddeo? Quand’ella ebbe il bacio, non sapendo cosa fosse o significasse, con la mano, scattante e nervosa, con immediatezza si pulì le labbra inumidite dal focoso piemontese.

GLI INEDITI
Vi sono, purtroppo ancora inediti, due romanzi: Carnet segreto di Mister Bacillus Virgulas (alias Viibron Colericus) e Vandetta del Guerin Meschino; una tragedia: Don Anselmo conquista l’impero; inoltre la raccolta di racconti balneari che comprende Sulla bionda arena, Feliccissime vacanze, Ferie d’agosto, Il Guardiano del molo, Alla fiera di Senigallia; infine molte poesie inedite, tra cui le sette pubblicate a cura della “Pro Loco Angelo Renna” distribuite nell’occasione del decennale della morte. Su tali inediti non si possono che fare voli pindarici e scegliere fior da fiore, con le manchevolezze d’obbligo.
Don Anselmo Lasagna alla conquista dell’impero é una farsa divisa in tre momenti storici: il primo tratto dalla guerra d’Abissinia; il secondo dalla seconda guerra mondiale; il terzo della guerra partigiana e della morte di Benito Mussolini. Un testo in dialetto napoletano e in italiano. Battibecchi feroci, ingiurie ed offese abnormi che I protagonisti si scambiano fra loro e infine una grande e efficace ironia: in Africa le pietre sono di platino o d’oro a cinquanta carati.

LA SATIRA POLITICA
Il Carnet di Mister Bacillus (alias Vibron Colericus) é un documento importante, trovato per caso in un rione dei famigerati quartieri di Toledo, meglio noti come i Quartieri Spagnoli. Angelo Renna dice di averlo avuto “tramite le quinte colonne (ed anche dalle seste!) che si annidano nella polizia italiana”.
Si tratta di un atto d’accusa contro la gestione del potere democristiano e socialista. Prende però soprattutto di mira la feroce lotta fra le correnti organizzate della Democrazia Cristiana. Dice un ministro: “I nostri avversari di corrente sono alle corde. Il capintesta é indebitato per miliardi, perché si è buttato a capofitto in una speculazione edilizia risoltasi in un fallimento totale. Ora é in un cul di sacco e non ha via di scampo. O inalbera bandiera bianca o sarà finita per lui. Deve venire per forza a Canossa, altrimenti lo liquiderò, e in pochi giorni. Lo denunzierà al Consiglio di Disciplina e sarà cacciato ignominiosamente dalla Democrazia Cristiana”.
E qui l’amaro commento del Nostro: il Ministro per eliminare l’antagonista “l’ha lasciato rubare tranquillamente, per poi smascherarlo al momento opportuno. Ora lo ha in pugno e s’accinge a bruciarlo. E’ veramente commovente constatare quanto si vogliono bene tra loro questi democristiani che si scannano a vicenda all’ombra della Santa Croce”. Ed il ministro continua imperterrito contro I suoi amici democristiani: “Alla Regione, padre e figlio e I loro alleati hanno fatto fino a oggi la pioggia e l’arcobaleno. Devono andarsene, perché hanno già mangiato abbastanza. E chi mangia troppo schiatta … Al Comune sono riusciti a corrompere anche i socialisti, i quali, in verità, non aspettano che essere chiamati a banchetto”.

LE POESIE
Nelle poesie di Angelo Renna domina il suo amore per la natura e in modo particolare per la montagna che subì con il pathos con cui visse ogni momento della sua vita. Si tratta dei nostri monti, quelli del Partenio, che frequentava assiduamente. E’ sempre difficile capire come nasce una poesia. E quando si riesce, non si arriva a capire il suo segreto, che rimane sempre ineffabile. Comunque dai seguenti pochi versi comprensibili e chiari sono la nascita e il segreto. L’amore per I boschi e per tutto ciò che in essi vive emerge con forza nella poesia “Vi son creature”, i cui ultimi versi suonano: “… Pei sentieri ombrosi/ dei boschi miei ove tra tronco e tronco/ il vento passa e con l’erbe discorre/ Nei suoni falsi e ipocriti linguaggi/ io vi ritrovo, ma semplici accenti/ e se volti di donna o d’uomo incontro/ tendo la palma e l’altra palma stringo/ certo che mi comprende chi comprendo”.
Nell’Armonica a bocca estasi e nostalgia:
“Oh c’é sempre per me quel bel giardino/ di rose e di fiori e quella Desolina/ ricama ancora I suoi fazzolettini/ da regalare al primo, al primo amore”.
La descrizione di luoghi che tutti conosciamo in “I miei monti a maggio”: “Su tutto il piano dell’Ariella fluttua/ aria trepida pregna dell’afrore/ di mentarso di felsi di mill’erbe/ che fondano l’essenze in una sola/ Fasciato di silenzio il Ciglio incombe/ gigante inerme le gobbe villose/ alza al capo turchino/ Misterioso il richiamo del cuculo in amore/ echeggia sotto I faggi/ Dagli abeti la femina risponde”. Nella poesia Sono, autobiografica: “Non sono roccia né legno/ Sono un uomo che si consuma/ per illuminare come lampada o torcia/ Sono un uomo che costruisce la sua breve vita nella vita di tutti/ … Mi riproduco nelle rosse bacche del pungitopo/ e nelle tenue sfoglie del gichero/ che abbonda nella siepe/ o palese o nascosto tra gli intrichi/ delle ortiche e dei rami di sambuco/ Il mio destino é chiaro/ niente oscuro vi vedo/ anche la morte sarà/ il ritorno a quello ch’ero prima/ e sarò terra ed acqua, acqua e farina/ sarò alba e tramonto, odio ed amore”.
Yehoshua, grande scrittore israeliano, giustamente scrive: “Nella letteratura si trova la scatola nera di ogni società … Il grido della sua anima”.

L’IMPEGNO POLITICO
Angelo Renna nei suoi verdi anni é stato dirigente del Partito Comunista italiano, in cui ha militato con onore. Quando decise d’uscirne, lo fece in punta di piedi. Continuò a votare per coerenza per tale partito, convinto che solo il Pci potesse attuare le idee di giustizia e solidarietà. Certo. Fu un travaglio, un dramma vissuto che motivò, identificandosi con Bordon, ufficiale degli Alpini, del racconto Sulla rena bianca, in cui stigmatizza che ormai “tra il borghese e il comunista non corre nessuna differenza” in quanto anche il comunista ha obbedito al basso ventre: casa in montagna o al mare, arredamento di lusso e la nuova divinità, madonna automobile”.
Scettico, diffida di tutti I ciarlatani e “il mondo d’oggi” gli dà “nausea”.
Certo, Angelo Renna é un vero poeta. E il poeta non é tale se non si oppone al “mondo in cui vive” (B. Peret). Lillino Renna non seppe né volle adattarsi, come il napoletano Tommaso Accetto e tanti altri, alla “dissimulazione”. Restò sempre se stesso. Combattè sempre per portare allo scoperto le contraddizioni del suo tempo, sia da sinistra che da destra. L’amore sviscerato per la natura, I suoi sani sentimenti, il suo costume morale gli consentirono di imprimere alla sua opera di pittura, di storia, di letteratura il segno del suo impegno sociale, della sua intelligenza, della sua cultura e della sua generosità, nonostante la sua vita terminò improvvisa “come gel che si strugge” (Torquato Tasso, a cui Angelo Renna tanto somigliava).

ADDIO AI MONTI

C’era una volta il bosco di Cervinara. Ed era tutto un manto di verzura che s’inerpicava dalle selve fino alle cime più alte del Ciglio. Di primavera, quando castagni, ontani e faggi si ricoprivano di diafane foglioline e l’aria, che sapeva ancora di neve recente, si tingeva d’un tenero turchino, quasi pastello, era tutto uno svolazzare, un richiamarsi di uccelli, un frusciare indistinto tra i rami e i roveti.
Appena valicata la gola dell’Ariella o della Coppola, entrando nel piano che divide i primi bricchi dai costoni, il cielo spariva, nascosto dal fogliame, e s’udiva il picchio che s’accaniva su un tronco per frugarvi insetti o scavarvisi il nido. E dai castagnoni alle abetaie il cuculo intrecciava il suo verso beffardo spostandosi rapido da un posto all’altro come se giocasse a rimpiattino. Dal sottobosco si levava il possente afrore delle felci, del mentastro, e futtuava molle, specialmente quando il sole era alto, il profumo delicato, ma penetrante delle ginestre.
I sentieri si perdevano a serpe verso le alture e lasciavano fantasticare di mondi inesplorati, segreti, noti solo ai pastori e ad una schiera eletta di iniziati.
Rivoli di acque pure, cristalline, si precipitavano a valle, e con loro fragore creavano quell’atmosfera magica, impalpabile, come il silenzio assorto che avvolgeva le coste. Chi andava, allora, sui monti, adoperava le proprie gambe, e provava la soddisfazione di dire, una volta in vetta: quassù ci sono venuto da me, non mi ci ha portato la macchina. E scopriva conche remote negli anfratti muscosi e umidi, o pianori stupendi gli si spalancavano innanzi agli occhi attonti. Se aveva sentito narrare i fatti della montagna, dai vecchi che vi andavano per riempir di neve fosse grandi quanto crateri, o per funghi, certamente ricordava nomi dal sapore selvaggio: Piano d’Occhi, Piana Lupara, Piano Gregorio, Porca Granda, la Nevéra, i Valloni di Pertuso, l’Onde di Pozzillo. E arrivarci faticosamente era come ritrovare amici fedeli ch’erano là, ad attendere da millenni. Ed era bello tutto questo, perché accresceva il fascino della montagna. Ora non più. Da quando hanno aperto la strada che mena fin lassù, la montagna é finita. La fauna avicola, con il valido aiuto dei cacciatori, é quasi scomparsa, e la flora é anch’essa minacciata d’estinzione.
Infatti parecchie specie di fiori esistenti solo una decina d’anni fa, oggi é difficile rinvenirle.
Le automobili hanno inquinato l’aria e il verde ed é ancora presto per stabilire il danno che stanno arrecando agli alberi i gas dei tubi di scappamento. I possesori di “cesìne”, ora che é possibile portare una pala meccanica anche nei punti èiù impervi, si sono tracciata una comoda stradetta, innestandola alla principale o alle tante fatte aprire dalla cosiddetta Comunità montana, e giungono in macchina fin nella loro proprietà. Si é intessuto, così, un dedalo di sentieri che ha sconvolto le vecchie piste. Le motoseghe, poi, quegli orribili strumenti di sterminio inventati da qualche genio diabolico, hanno letteralemente tosato vaste fasce di bosco. Le selve, specialmente quelle che stanno alle spalle dei Salomoni e degli Scalomoni, sono state rapate a zero, con un sistema a catena, ubbidendo ad un criterio barbaro che nemmeno nei tempi più bui della storia del nostro paese é stato mai adottato. Le vie “guardafuochi” che la Forestale ritiene logiche e funzionali hanno, al contrario, contribuito alla distruzione di ampie aree boschive ed anche esteticamente hanno guastato ogni attrattiva del apesaggio montano.
Non parliamo poi dei pianori di Valle Stretta, della Cisterna, di Piano Lapillo, di Piano di Lauro, meta per l’alpeggio delle greggi. I turisti domenicali, o quelli che vengono durante la stagione die funghi anche dagli altri centri della Campania e della Puglia, li hanno ridotti ad immondezzai, lasciandovi, a segno delle loro “incursioni”, buste di plastica, bicchieri e piatti dello stesso materiali, cartacce e peggio.
Addirittura, sulla strada che percorre la dorsale del ciglio, da Ricovero a Tuoppo Alto, abbiamo potuto ammirare, tra le altre delizie maleodoranti, un letto con un materasso. E’ facile adesso caricare la rumenta su un furgoncino e andarla a smaltire a mille e più metri di altitudine. Pure a questo servono le montagne.
E se si considera che quei pianori costituiscono i naturali bacini imbriferi ove si raccolgono le acque piovane e quelle del disgelo, le quali filtrano attraverso meandri sotterranei, alimentando le nostre sorgenti, si capirà quale delitto si é perpetrato più volontariamente che per ingenuità o ignoranza, ai danni delle nostre popolazioni.
Di chi la colpa? Ma un po’ di tutti, a cominciare dall’Amministrazione comunale, la quale dispone di due guardie boschive e non li munisci di automezzi adeguati alla bisogna, distaccandole dal servizio di vigilanza urbane e destinandole esclusivamente alla ronda in montagna. C’entra, in tanto scempio, la Forestale, che autorizza con molta larghezza di maniche, il taglio indiscriminato delle selve e dei boschi. E c’entrano infine quei cervelloni della Comunità montana, i quali la montagna la conoscono per averla vista sulle cartoline, però con competenza di strateghi elaborano i loro piani con le gambe sotto le scrivanie e ponzano opere irrealizzabili per poter dare il colpo di grazia a ciò che rimane ancora di pulito. Per cui, stando così le cose, non per inclinazione catastrofica e neanche per riecheggiare il dolce lirismo manzoniano, noi diamo un mesto, nostalgico addio ai monti, ai nostri monti non a quelli di Pescarenico.

da Cose di Cervinara” in EsseA, febbraio 1985

Memorie di Angelo Renna e il Partenioultima modifica: 2015-06-04T14:55:30+02:00da
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